Santuario di Monte d'Accoddi
Monumento unico in Europa, costruito tra il IV e il III millennio a.C., luogo di culto e di rituali della Preistoria sarda

Santuario di Monte d'Accoddi
Santuario di Monte d'Accoddi
Contatti
Informazioni di accesso
Percorrendo la ex SS131 in direzione di Porto Torres, al km 222, svoltare a sinistra allo svincolo per Bancali e procedere verso Sassari fino alla Strada Vicinale Monte d'Accoddi, dove il sito è segnalato dai cartelli turistici. Provenendo invece da Porto Torres, dopo circa 8 km, la Strada Vicinale si trova immediatamente a destra della Strada Statale 131.
È situato su un modesto rilievo in un territorio pianeggiante di natura calcarea, a 75 m s.l.m., a poche centinaia di metri dal Rio di Ottava. Il santuario, unicum in Sardegna e nel Mediterraneo occidentale, riveste una straordinaria importanza: è il complesso che meglio rappresenta la Preistoria della Sardegna, perché nel suo lungo arco cronologico sono attestate tutte le culture avvicendatesi tra il Neolitico e l’età del Bronzo. A breve distanza sono presenti, oltre alla necropoli ipogeica di Monte d’Accoddi (500 metri ad ovest-nord-ovest), quelle di Ponte Secco (670 metri a est), Marinaru (670 metri a nord), Sant’Ambrogio (1400 metri a sud), Li Lioni (1700 metri a ovest-nord-ovest) e Su Crucifissu Mannu (2350 metri a nord-nord-ovest), nonché il dolmen e i menhir di Frades Mereos (700 metri a sud-sud-ovest, oltre il Rio d’Ottava).
Il rilievo omonimo che celava le strutture venne danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale. Fu il Ministro Segni, proprietario dei terreni adiacenti la collinetta, a incentivare le indagini. I lavori di ricerca nel sito iniziarono nel 1952 e furono diretti da Ercole Contu fino al 1958; successivamente, lo scavo del complesso riprese tra il 1979 e il 1989 sotto la direzione di Santo Tinè. Le ultime indagini nell’area sono del primo decennio degli anni Duemila. L’area archeologica è stata ripulita dalla vegetazione spontanea, ed è in parte recintata da siepi di fillirea. Il territorio è caratterizzato da macchia mediterranea.
Il monumento si presenta oggi come una grande piattaforma a piramide tronca (circa 37 x 30 m, alt. 10 m), costruita con grossi blocchi calcarei rozzamente sbozzati, a cui si accede tramite una rampa lunga circa 42 m, costruita con la stessa tecnica. La piattaforma faceva da base ad un sacello di cui non rimane traccia. Questo aspetto è quello che il monumento assunse nella fase Ozieri II, quando una struttura fu costruita per rifasciare un precedente santuario, più piccolo (circa 24 x 27 m, alt. 5,5 m), detto il “Tempio Rosso” per la presenza di lacerti di intonaco rosso sulle sue superfici esterne. Il più antico è quindi inglobato all’interno di quello più recente, che ne riproduce in proporzioni maggiori ma con minore accuratezza le forme.
Nelle immediate vicinanze sono presenti due menhir, rispettivamente in calcare e arenaria, forse eretti prima della costruzione del cosiddetto “Tempio Rosso”, che sottolineano la sacralità dell’area. Un terzo menhir, rinvenuto rovesciato in prossimità della rampa, sembra essere coevo alla prima struttura santuariale. Altri due elementi litici, provenienti dalla zona a est del complesso, si trovano oggi presso la rampa. Si tratta di due pietre sferoidali, la più grande delle quali, in arenaria grigiastra rifinita accuratamente e con la superficie punteggiata di piccole coppelle, pesa più di una tonnellata ed è alta poco meno di un metro; la seconda, in quarzite, ha dimensioni minori. Completano il quadro due lastroni orizzontali, interpretati come altari. Il più grande (3 x 3 m, peso: 8 tonnellate) è una grande lastra in calcare, disseminata di coppelle, ancora nella sua posizione originaria sopra un inghiottitoio naturale, interpretato come copertura di un dolmen o come tavola per offerte, data la presenza di sette fori passanti, forse usati per legare gli animali sacrificali. La cronologia è dibattuta. Il secondo altare, più semplice e di forma irregolare, è forse coevo al tempio più antico e aveva la funzione di mensa sacra. Esso è di ignimbrite, materiale presente in affioramenti distanti almeno 6 km.
Particolarmente significativo il rinvenimento nell’area del santuario di due stele decorate, oggi al Museo Nazionale di Sassari. La prima, in calcare, rinvenuta tra il materiale di riempimento per la costruzione dell’altare più recente, reca inciso un motivo a spirale e rettilineo, che rappresenta forse un volto stilizzato riconducibile a una statua di culto di dimensioni consistenti. La seconda in granito, presente in replica sul sito, raffigura sui due lati un motivo a rilievo, che schematizza una figura femminile, e doveva essere relativa all’edificio più recente.
Le capanne del villaggio-santuario che circondano il lato orientale dell’altare - risalenti in parte alla fase della cultura di Abealzu - hanno muri rettilinei formati da uno zoccolo di piccole pietre sul quale poggiava una struttura di mattoni crudi o di canne e frasche intonacata. Pali conficcati dentro buche nel pavimento sostenevano tetti di frasche a uno o due spioventi. I vani presentano focolari rettangolari, con bordo in rilievo fatto di argilla. Tra le strutture scavate, si segnala la “Capanna dello stregone” situata presso l’angolo NE della terrazza. È caratterizzata da una pianta trapezoidale (lungh. 8,80-5,70 m; largh. 9,50 m), internamente suddivisa, da muri rettilinei, in cinque ambienti coperti da un tetto a unico spiovente. La capanna deve il nome a una punta di corno bovino e ad alcune conchiglie bivalvi trovate entro una brocca. I materiali mostrano come, accanto alle attività di sussistenza (agricoltura, allevamento, caccia, pesca, raccolta di molluschi) si praticassero la filatura e la tessitura (pesi da telaio, fusaiole) forse con valenza anche cultuale.
La storia del santuario mostra con chiarezza lo sforzo dell’intera comunità che, a partire dall’Ozieri I, concepisce un originale monumento di funzione cultuale, distinguendo per la prima volta quest’ultima dalla sfera funeraria e realizzando un santuario la cui importanza doveva riguardare un territorio vasto. Nell’edificazione di una capanna alla base della rampa, nel III millennio a.C., si può intravedere una funzione di controllo degli accessi al luogo alto, forse indicatore di una complessità sociale più stratificata rispetto alle prime fasi di edificazione e frequentazione dell’edificio.
Bibliografia
- Contu E. 2000, L'altare preistorico di Monte d'Accoddi, Sardegna archeologica, Guide e itinerari 29.
- Giuliani S. 2023, Il santuario di Monte d'Accoddi, Sassari, in G. Tanda, L. Doro, L. Usai, F. Buffoni (eds.), Arte e architettura nella Sardegna preistorica. Le domus de janas (Candidatura Unesco 2021), Cagliari: 110-115.